Articolo tratto dal bollettino mensile della associazione Pro Valle Trompia del 1913
Alcune note storiche a cura di Giovanni Cometti
Alla distanza di poco più di due chilometri da Collio e precisamente a nord-est del capoluogo havvi una piccola contrada chiamata Ivino, posta in una verde conca di prati. Colà, su quelle ridenti pendici, si volle provvedere anche al culto religioso fino dall’anno 1638 circa erigendovi una bella chiesetta e dedicandola all’ apostolo ed evangelista S.Marco.
Detta chiesa venne più tardi dotata pure da una cappellania del reddito annuo di L. 259,03 austriache; e ciò per la generosità di un certo Spranzi detto Sbragaino residente in quella contrada, come risulta da un documento del 3 dicembre 1767.
Là, perduto su quei monti ebbe sua dimora fissa un cappellano per nome Don Domenico Bianchi (detto tambì) di Collio.
Dopo la sua morte celebrarono a S. Marco Ivino il rev. Don Bortolo Biena e dopo di lui il Rev. Don Pietro Lazzari ambedue di Collio.
Ma le leggi demaniali seppero scovare anche quel piccolo legato, venne quindi incamerato, e quella chiesa dall’anno 1872 circa non venne più aperta al culto, ma piuttosto se ne fece quasi un magazzeno.
Fu per opera ed iniziativa del Rev. Parroco Don Giovanni Martinazzoli che la chiesa di S. Marco venne più tardi ristaurata, benedetta ed aperta al pubblico per funzioni religiose.
Di più: Quest’anno un gruppo di cittadini pieni di buona volontà domandarono ed ottennero di celebrare lassù una festa votiva ad onore del S. Evangelista il giorno 28 di aprile, festa che venne con decorata da illustre predicatore, ed eziandio dal corpo musicale di Collio che gentilmente si offerse a rendere sempre più solenne quella festa religiosa in alta montagna.
Come era bello e delizioso udire, anzi dirò meglio gustare quelle note musicali che andavano a confondersi colle note gaie del canto degli uccelletti che svolazzavano di fronda in fronda quasi scherzando intorno a noi.
Ivino sebbene sia una piccola e dimenticata frazione del comune di Collio, tuttavia non è privo di importanza per la storia che certamente deve essere antica. Ivino non potrebbe essere che un nome di qualche capo di colonie Romane, forse della famiglia Vinicia, o meglio ancora della famiglia Livineia.
I nomi succitati appartengono, (almeno secondo l’Ambrosoli) alla tribù Fabia, che fu appunto quella colonia romana a cui erano uniti gli abitanti della valtrompia.
Comunque sia l’origine del nome stà però sempre il fatto che i romani scavarono varie miniere sui monti di Ivino, e da una specialmente situata al Dosso Mazà estraevano un acciaio finissimo con cui venivano fabbricati aghi da cucire.
Sempre nella plaga di Ivino signoreggia quasi civettuolo un antico ed elegante palazzo, che secondo la tradizione inveterata fu abitazione di un signorotto o feudatario servito e difeso da suoi bravi o buli.
Mi permetto i cortesi lettori una breve digressione. Secondo ci riferisce il dotto Mons. Fò d’Ostiani, i bravi dei signorotti si dividevano in più classi.
Vi erano i cosi detti buli salariati e questi vivevano col signore, che li manteneva, li pagava e li comodava per ogni impresa. Alla seconda classe appartenevano coloro che facevano il bravo per proprio conto, vivevano da se, e da se si mantenevano, prestandovi però, previa mercede, ad uccidere o fare del male per conto d’altri, e questi si chiamavano i spadazzini.
Ve ne erano altri finalmente che senza essere né bravi di professione facevano il prepotente per proprio conto ed avevano compagni altri buli, e questi si chiamavano barù.
Ritornando dove eravamo partiti, la palazzina di Ivino aveva pure una strada sotterranea che partendosi di là andava a finire sopra la piattaforma d’un Colle che chiamasi tuttora Pi Castel, che equivale a dire appresso il Castello.
Tale Colle per la sua forma e per la sua ubicazione dà tutta l’idea di una rocca che sta in vetta spiando l’inimico.
L’attuale proprietario della Casa dei bravi o di signorotti è certo Spranzi Giammaria, il quale nell’atterrare un muro interno trovò 2 monete d’argento, una del 1600 e l’altra del 1500.
Il Comitato per la conservazione dei monumenti dovrebbe occuparsi della palazzina di Ivino.
Don G. Bonomini