
Abate Antonio Bianchi
(tratto da Enciclopedia Bresciana)La famiglia di Antonio Bianchi proveniva dalla frazione di Ivino e si stabilì in contrada Piazza nel 1733.
Entrato in Seminario all’età di 17 anni i suoi superiori non tardarono a conoscere il vivace spirito del chierico Bianchi, tanto che il Vescovo stesso lo innalzò alla carica di maestro dei suoi medesimi condiscepoli.
In questa accademia egli seppe comporre, in armonia di pensiero, le opposte tendenze letterarie e le vivaci discussioni critiche e lesse parecchie sue lodate composizioni, specialmente la versione delle Olimpiadi di Pindaro.
Nel 1814 trattò con molta dottrina la questione relativa all’interpretazione del capitolo IX del Purgatorio; nel 1819 lesse intorno alla vita ed agli scritti di M. Terenzio Varrone; nel 1823 la traduzione del Fedone; nel 1816 «sul modo di insegnare la lingua italiana» e un idillio «La quercia di Palemone» e nel 1825-29 la versione dallo spagnolo degli Apologhi del D’Yriarte, opere che gli meritarono vari premi e diplomi.
Non senza importanza è il fascicolo «Uno dei più, contro l’uno» scritto in difesa del carme sui sepolcri di Ugo Foscolo, oggetto di aspre critiche.
Fu Sacerdote esemplare e caritatevole, scienziato, nonché zelante e fervente patriota, cosa che gli costò le attenzioni della polizia austriaca e gli ispirò una fervida ode “alla Patria”:
«Patria! Nome diletto d’ogni anima che sente; «Primo pensiero e affetto del core e della mente!» «sia che madre benigna ai cari figli arridi, «sia che male gli affidi indomita matrigna».Purtroppo, proprio quando molti frutti si dovevano raccogliere dai suoi studi e dalle sue esperienze, la sua vita si interruppe improvvisamente, a soli 55 anni, lasciando un immenso vuoto.
Mons. Guerini scrisse: «Il Cenacolo letterario che onorava Brescia nei primi decenni dell’800 e la collocava invidiata fra le consorelle italiane per le predilezioni di Ugo Foscolo e Vincenzo Monti, perdeva il 6 Agosto 1828 con la morte dell’Abate Antonio Bianchi uno dei suoi campioni più attivi e più stimati».
Il funerale, celebrato nella Chiesa di S.Giovanni a Brescia, fu una vera apoteosi dell’illustre estinto, essendo considerato come lutto cittadino e durante la cerimonia funebre, il prof. Giacomo Ronchini – pure di Collio – illustrò la vita, la scienza, le opere del grande scomparso.
La sua memoria non doveva però cadere nell’oblio.
Cesare Arici tornato a Collio alcuni anni dopo la morte del Bianchi scrisse nel resoconto di quella sua gita, pubblicato dal Saleri nel 1838 assieme ad altre opere inedite:
«di aver visto l’umil casa di care memorie e d’omerica ospitalità, quella dell’amatissimo D.A. Bianchi».
E ci pensò poi, nel 1881, il Comune di Collio ad eternarne la memoria murando una lapide sulla facciata del Municipio e nel centenario della morte, 1928, si tenne la solenne commemorazione in Collio con un discorso del Sen. Carlo Bonardi.